L’editto che rese “pura” la Birra di Germania
Chi vuol studiare la birra artigianale italiana, nella sua tradizione, dalle sue origini, non può non fare riferimento alla tradizione tedesca, dalla quale direttamente deriva.
Era tra gli anni ’20 e ’30 del XIX secolo che, insieme a manifatture che segnano la nascita dell’industria locale, sorgono in Valchiavenna, propaggine terminale della Lombardia che si incunea nel confine svizzero, le prime fabbriche di birra, grazie all’acqua e all’aria buona ma anche grazie ai crotti, eccellenti frigoriferi per la maturazione della birra. Nel 1844 le fabbriche di birra a Chiavenna erano quattro, e producevano 390 ettolitri di birra; pochi anni dopo aumentarono a nove e producevano il 20 per cento della birra nazionale.
Oggi la tradizione si è radicata e proprio a due passi dallo “Spluga” birrifici artigianali di altissima qualità producono nel lembo di terra che la birra fece arrivare.
Partiamo nel nostro viaggio da Guglielmo IV
Guglielmo IV di Baviera viene descritto dai biografi come un regnante mite ed illuminato, forse un tantino affascinato dall’idea di essere amato dai suoi sudditi e per questo in alcuni provvedimenti un po’ ondivago.
Governò per molti anni (oltre 30) con il fratello Ludovico X e fu un grande collezionista e promotore delle arti: tra le tante commissioni si ricorda la splendida Battaglia di Issus di Albrecht Altdorfer (oggi posta presso l’Alte Pinakothek di Monaco), da molti considerato tra i più affascinanti paesaggi dell’intera storia dell’arte.
E’ sepolto nella cripta della Chiesa di Nostra Signora, Cattedrale di Monaco.
Chissà se proprio a lui è dedicata la cosiddetta “Teufelstritt” o impronta del diavolo. La leggenda racconta che il diavolo sarebbe entrato nella chiesa per ridicolizzarla, in quanto non si vedeva alcuna finestra. Infatti, se si guarda verso l’altare, le colonne delle navate nascondono alla vista qualsiasi finestra. Il diavolo fece un passo in avanti, vide le finestre e dalla rabbia sbatté talmente forte il piede da lasciare un’impronta.
Ma forse, quell’impronta è segno di ben altra ira mefistofelica…
Magari per la longevità di un documento che ha di diritto trasformato Guglielmo IV nel regnante “della birra pura”!
Facciamo un passo indietro.
Nel 1516 il raccolto di frumento fu disastroso e Guglielmo IV di Baviera fu indotto a emanare un decreto (che doveva essere temporaneo) per impedirne, solo per quell’anno, l’impiego. Nato forse anche per ragioni commerciali, per prevenire la competizione sul prezzo del frumento e della segale tra birrai e panificatori, richiese di utilizzare i cereali diversi dall’orzo nell’alimentazione e nella panificazione invece che nella produzione brassicola.
Reinheitsgebot, così si chiamava l’Editto di Purezza, fu promulgato nella città di Ingolstadt (la città in cui adesso ha sede il Quartier Generale dell’AUDI), il 23 aprile 1516 e recita nelle sue prime righe:
“Come la birra deve essere prodotta e servita in estate e inverno nella regione:
Con questa ordinanza, noi decretiamo e proclamiamo, secondo l’Autorità della nostra provincia, che d’ora in avanti nel Ducato di Baviera, […] Inoltre, noi specialmente desideriamo che da questo momento in poi e dovunque, niente deve essere usato od addizionato per produrre birra che non sia orzo, luppolo ed acqua.“
Niente spezie, zuccheri e frutta secca. A quell’epoca il lievito non era stato ancora scoperto e quando accadde (più di tre secoli dopo) venne inserito nel canone.
La legge sulla purezza ha prevalso in Germania per quasi 500 anni, sino al 1992. L’anno dell’unificazione economico-commerciale, con la quale l’Europa costrinse la Germania ad adeguarsi alle normative comunitarie, che imposero l’import di qualsiasi tipo di birra.
Grazie alla severità con cui è stato fatto rispettare questo editto i tedeschi sono riusciti a imporsi al mondo brassicolo come esempio da seguire e da emulare.
Ancora oggi, però, le birre tedesche sono considerate pure, non “contaminate” da altri ingredienti, in forte contrapposizione alle due altre grandi scuole di pensiero (Gran Bretagna e soprattutto Belgio). Una limitazione all’estro dei mastri birrai o invece una esaltazione delle tecniche di produzione a partire dagli stessi ingredienti?
E’ indubbio che anche l’Italia si stia spingendo proprio in direzione opposta al Reinheitsgebot, con una particolare predisposizione dei birrai alla “contaminazione”.
In questo spazio, che periodicamente darà voce al racconto delle birre artigianali italiane: un mondo che proveremo ad esplorare, partendo dalla storia e avventurandoci nella tecnica e nelle tendenze.
Ai bevitori l’ardua sentenza! ?
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